Ho avuto una vita particolare, e non mi posso lamentare. Da un po’ sono entrato in quella che, con un certo eufemismo, chiamano “l’ultima fase dell’esistenza”. Ma chi può dirlo? Magari finisco davvero in un museo e mi guadagno l’immortalità.
Sono stato pensato a metà degli anni Sessanta, ma ho visto la luce solo qualche anno dopo. Niente di strano, è normale per quelli come me: si nasce due volte, prima su carta, poi su rotaia.
Nei piani iniziali c’era l’idea di non lasciarmi solo. Ma si sa come vanno le cose: i soldi non bastano, arriva la crisi economica – chi se la dimentica quella degli anni Settanta – e così… figlio unico. O forse no. Si dice che io abbia un gemello spagnolo, ma non so come sia andata davvero. Bisognerebbe chiederlo a mio padre.
Mio padre, sì: un ingegnere. E siccome la vita è tortuosa e le ferrovie pure, ma bisogna comunque andare in fretta, un giorno si mise a pensare a come farmi affrontare le curve… senza rallentare.
Pendolando!
No, non parlo del pendolarismo – quello riguarda chi sui treni ci sale. Io parlo del pendolamento: una sorta di magia tecnica che riguarda noi treni ad assetto variabile.
Come me.
Il primo della storia.
Esemplare unico.
L’alta velocità ancora non esisteva, con le sue ferrovie dritte come fusi. All’epoca le linee erano tutte curve. E chi va in moto o in bici lo sa: per andare veloci, in curva bisogna inclinarsi. Mio padre ebbe l’intuizione: un treno che si piega per affrontare meglio le curve. Semplice da dire, meno da fare. Ma lui ci riuscì.
Io sono l’ETR 401, detto Pendolino. Unico nel mio genere, perché non c’erano abbastanza soldi per costruirne altri. E così cominciai a correre fra Roma e Ancona, poi fino a Rimini, avanti e indietro un numero di volte che ho perso il conto. Un po’ forsennato, lo ammetto. Ma noi pezzi unici abbiamo un problema: quando serve manutenzione, nessuno ci sostituisce. Il servizio si ferma, e l’efficienza pure.
E così, nemmeno dieci anni dopo, decisero di mettermi da parte. Un bel deposito ferroviario, e via, verso il tramonto. Ma io non volevo saperne di una pensione così precoce.
E per fortuna, il destino aveva in serbo altro.
Sono diventato un treno-laboratorio, ambasciatore della tecnica italiana in giro per l’Europa. Germania, Austria, Iugoslavia, Svizzera… Di qua e di là a mostrare i miei muscoli – per così dire – lasciando tutti a bocca aperta: un treno che si piega in curva! Una meraviglia.
Poi, quando i nuovi Pendolini – più moderni, più efficienti – hanno cominciato a prendere il mio posto, io me la sono goduta. Sono diventato un treno turistico, chiamato in giro per l’Italia. Indimenticabile la traversata dello Stretto di Messina: la prima volta per un Pendolino! E quei lunghi viaggi da Milano alla Calabria, sponsorizzati dalla Regione, per portare i turisti al sud. E il carnevale marchigiano, dove erano mascherati anche i macchinisti…
E oggi? Dopo tanti anni accantonato, dopo la mia prima giovinezza operativa, la seconda da laboratorio e la terza da agenzia turistica… mi hanno detto che per me c’è ancora futuro.
Diventerò rotabile storico.
Lo sapevo che sarei finito in un museo. Ma sono certo che ogni tanto, un giretto me lo faranno fare.
[Nel 2011 è morto all’età di cent’anni Franco Di Majo, ingegnere torinese, considerato – insieme ad altri – il “padre” del Pendolino. Ho voluto ricordarlo con questo piccolo racconto. La foto è di Maurizio Messa.]



























