Si chiamavano Centoporte

Si chiamavano Centoporte, perché ogni scompartimento aveva il suo ingresso separato. Le panche erano di legno, e l’atmosfera ricordava vagamente il vecchio west, ogni volta che passavamo in mezzo alla pineta di San Rossore ci aspettavamo un assalto degli indiani. Noi eravamo tutti pendolari, la maggior parte andava a Pisa all’università, qualcuno già lavorava e scendeva prima.

Io salivo a Massa, il tragitto non era lungo, una quarantina di km, ma non credo si arrivasse mai a cento all’ora, e ci voleva un po’, sia per le fermate continue, sia perché era veramente un trabiccolo, l’alta velocità esisteva solo nelle menti dei progettisti.

Si narra che una volta degli sventurati sulla linea che invece veniva da Lucca, a bordo di una littorina diesel, fossero stati costretti a scendere e a spingerla perché si era fermata, chissà se qualcuno si ricorda quell’episodio.

Centinaia di persone assonnate a bordo, centinaia di storie diverse, la giornata davanti a noi che era tutta da giocare, gli zainetti pieni di sogni, la persona che ci piaceva che saliva alla fermata successiva, l’odore di malizia profumo d’intesa o di dopobarba mennen, sembrava tutto più bello di ora, ma non è così, eravamo solo più giovani, erano gli anni Ottanta, sembra ieri.