Stamani mi sono svegliato più felice del solito. Mi succede ogni volta che sono chiamato a votare. Non è una cosa da dare per scontata: in molti Paesi del mondo, votare liberamente non è possibile.
Se avessi un vestito elegante, lo indosserei volentieri. Ma ho solo dei pantaloni un po’ larghi e una maglietta pulita. Andranno bene lo stesso.
Dopo aver controllato di avere con me un documento d’identità e la tessera elettorale, mi avvierò verso la sezione elettorale numero 11 del mio Comune. Mi affaccerò timidamente all’interno e, ricevuto il via libera dalle scrutatrici o dagli scrutatori, entrerò e aspetterò di essere riconosciuto.
Con le schede in mano, mi infilerò in una delle cabine. Suderò un po’ per l’emozione, come sempre, e metterò una X sulla mia scelta. Le schede non le inserirò io stesso nelle urne: vedo male i colori, e potrei sbagliare. Meglio evitare rischi, ci penseranno loro.
«Arrivederci, e grazie», dirò poi, uscendo.
Sì, voterò.