Ricordi dimenticabili

Bisognava andarci piano, con quelli da 24 che finivano subito, ma anche quelli da 36 non è che durassero chissà quanto, più o meno durante una gita scolastica terminavi il primo rullino che ancora eri a cazzeggiare in fondo al pullman, e la bottiglia impietosa girava, girava, ma non si fermava mai dove avresti voluto.

Firenze, o Roma, o San Marino, erano ancora lontani e tu dovevi scartare il secondo rullino e infilarlo in quella kodak che ti avevano regalato per la Cresima e che ancora funzionava in maniera accettabile, restituendo dopo qualche giorno un pacchetto di fotografie che scorrevi velocemente, prima di infilarle in un portafoto di plastica, avendo cura di buttare in fondo a qualche cassetto della tua camera i negativi, che regolarmente andavano persi per sempre, ma tanto a cosa potevano servire, il presente era impegnativo, ma il futuro era soltanto una fantasia lontana.

Le immagini erano quasi tutte storte, buie, con espressioni del volto grottesche, dove i brufoli venivano esaltati in primo piano mentre i pantaloni di velluto a zampa d’elefante rimanevano tagliati dal ginocchio in giù, ma quella che ti piaceva eri riuscito a fotografarla, brutta come il peccato pure lei, ma solo in foto, che dal vivo ti sembrava phoebe cates e te la tenevi fra le pagine del diario, hai visto mai che ti rivolga la parola a ricreazione.

Il rullino kodak ha accompagnato tutti i momenti più devastanti dell’infanzia e dell’adolescenza, le cerimonie, i natali, i ferragosto, le sagre, le gite, i gatti di nonna, la faccia di zia, i cugini che ti rendevano felice quando li incontravi, e tante altre cose, e costavano poco, quei rullini, così come costavano poco le omonime macchinette fotografiche, e tutti dobbiamo un po’ essere riconoscenti a George Eastman, che produsse entrambi, permettendo a noi poveri di fissare su pellicola ricordi dimenticabili.

Che parola, kodak, semplice, ben pronunciabile, evocava il cognome di qualche profugo polacco che aveva fatto fortuna in America, ma in realtà era una parola inventata a caso, che non significava nulla e che quindi era brevettabile liberamente senza problemi, e che avrebbe permesso a centinaia di milioni di persone come me di fissare per sempre un pezzetto di vita.

Magari col flash.