La tonsura

Giuseppe si muove strisciando, accompagnato dai monaci, la luce delle candele illumina debolmente la scena.
E’ un muoversi lento, faticoso, colmo di pensieri.
I ricordi vanno a quel giorno in cui insieme ai genitori Plotino ed Agata era fuggito precipitosamente dalla Sicilia, invasa dai Saraceni, e si era rifugiato nel Peloponneso.

Arrivato davanti al sacerdote, questi inizia a leggere la formula di rito, mentre Giuseppe rimane completamente sdraiato e ricoperto dal nero mantello.
Dal Peloponneso si era poi trasferito a Tessalonica, e lì era arrivata la decisione di farsi monaco.
Il sacerdote afferra le forbici, e gli si avvicina.
Dopo qualche giorno ospite del monastero, l’abate gli aveva concesso il noviziato, per lui era cominciata una vita di preghiera, e adesso stava compiendo il passaggio più importante.
Le forbici tagliano precise i capelli in quattro punti come una croce, e i riccioli vengono messi da parte, la tonsura è conclusa.

Negli anni a seguire, Giuseppe si distinguerà per devozione, ascetismo, e per la sua bravura nello scrivere inni religiosi, suscitando l’ammirazione del vescovo, che lo condurrà a Costantinopoli. Da lì  una vita avventurosa, la battaglia contro l’iconoclastia, i viaggi diplomatici, e durante uno di essi, la cattura da parte dei saraceni, da cui era scappato bambino e che di nuovo minacciano la sua vita.

Schiavo a Creta, rinchiuso in prigione per diversi anni, da dove poi uscirà secondo modalità poco note, in cui la storia, la leggenda e i miracoli si mescolano fra loro.

Oggi 3 aprile, data della sua morte avvenuta nell’886, la Chiesa Ortodossa ricorda il monaco Giuseppe Innografo, detto “la dolce voce d’usignolo della Chiesa”.