Probabilmente in Puglia

Probabilmente in Puglia in questo periodo hanno ben altro a cui pensare, ma se fossero state settimane più tranquille certamente avrebbero trovato il modo di celebrare i mille anni dalla scomparsa di Melo, che insieme a suo cognato Datto si resero protagonisti di una rivolta che i bizantini si ricordarono per un pezzo.
Il primo era nato intorno al 970, mentre il secondo una decina di anni dopo, entrambi a Bari. Di probabili origini longobarde, ma di cultura greca, di buona famiglia, insofferenti alla pesante imposizione fiscale del locale catapano (l’ufficiale bizantino che governava quel luogo), gli si ribellarono fra il 1009 e il 1010, lo fecero passare a miglior vita e per un po’ di tempo pensarono di aver risolto i problemi.

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La data della morte di Juan Ciudad

L’8 marzo è la Giornata internazionale dei diritti della donna, e questa celebrazione importante mette sempre in secondo piano il fatto che è anche la data della morte di Juan Ciudad, nato in Portogallo nel 1495 e morto in Spagna nel 1550, l’8 marzo, appunto.
Era un tipo un po’ stravagante, Juan, e nella sua vita straordinaria fece tanti mestieri, oltre ad andare in giro come capitava spesso in quel periodo. Scappò di casa che aveva soltanto otto anni, e dal Portogallo arrivò in Spagna dove, non conoscendo il suo cognome, cominciarono a chiamarlo Juan de Dios.

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Ne fece di cotte e di crude, Carlomanno

Ne fece di cotte e di crude, Carlomanno, figlio di Carlo Martello, e d’altra parte i tempi erano quelli, ed il ruolo pure.
Poi un giorno del 747 decise che ne aveva avuto abbastanza, e comunicò al fratello Pipino – il padre di Carlo Magno – che avrebbe voluto farsi monaco, troppo sangue era passato per le sue mani.
Quell’anno l’esercito, anziché combattere da qualche parte, lo accompagnò in questo suo desiderio, fino a Roma, dove gli tagliarono i capelli e gli fecero indossare l’abito da monaco.
Da lì, poi, si recò sul monte Soratte, dove trascorse i primi tempi di questa sua nuova vita.
Mi è venuto in mente, mentre sono seduto alla mia scrivania, volgendo lo sguardo a sinistra, e guardando quella montagna in lontananza.

In ricordo di Elena Fasano Guarini

A quasi un anno dalla sua scomparsa, vorrei ricordare qui la professoressa Elena Fasano Guarini, con la quale ebbi il piacere di sostenere l’esame di Storia Moderna e quello di Storia degli Antichi Stati Italiani,  presso l’Università di Pisa, dove era diventata prima direttrice del Dipartimento di storia moderna e contemporanea, e poi preside della Facoltà di lettere e  filosofia. La professoressa Fasano Guarini fu anche la relatrice della mia tesi di laurea, nella quale portai uno studio sui Diari di Gherardo Burlamacchi. Fu proprio in quei mesi di duro lavoro dedicato alle carte di questo mercante lucchese del Cinquecento, che maturai piano piano il desiderio di diventare biografo, ricevendo il suo incoraggiamento. Nata nel 1934 a Milano, era stata vincitrice del primo corso aperto anche alle donne presso la Scuola Normale Superiore, dove poi mi mandò per delle ricerche (conservo ancora per ricordo una malleveria scritta di suo pugno). Fu poi borsista presso l’Istituto italiano di studi storici di Napoli e successivamente lavorò a Parigi all’Ecole Pratique des Hautes Etudes, con Fernand Braudel. Insuperabile il suo lavoro per la realizzazione della Carta del Granducato di Toscana, che rimane un eccellente esempio di cartografia storica. Ma a parte la carriera e i titoli accademici, la preparazione e la capacità di insegnamento, il ricordo che più mi rimane di lei è l’infinita dolcezza e disponibilità nei confronti di noi studenti.